La Passiùn di Gesü Crist
- Dove: Castagnole Monferrato (AT), per le vie del centro storico e nel Cortile dei Camminatori di Domande (Cortile dell’ex Asilo Infantile Regina Elena)
- Quando: tutti gli anni, il Giovedì Santo, dalle ore 21
- Ideazione: Luciano Nattino con la consulenza antropologica di Piercarlo Grimaldi
- Direzione artistica: Casa degli alfieri / ARTEPO (ARchivio TEatralità POpolare)
La sera in cui la Chiesa ricorda la cattura e l’inizio della Passione di Cristo, l’antico canto popolare omonimo è oggi riscoperto e costituisce il fulcro di una più vasta azione teatrale popolare itinerante al seguito del “Cristo-albero”, un crocifisso ligneo dell’artista tedesco Hans Jurgen Vogel.
Scene teatrali, letture e testimonianze, “suoni delle tenebre” a rappresentare il caos universale, momenti di convivialità si situano per le vie del centro storico, percorse da una processione con torce, e coinvolgono attivamente tutta la comunità di Castagnole ed il sempre numeroso pubblico con l’intervento di artisti, studiosi, uomini di fede e di dubbio. Tutti insieme, almeno per una sera, sono chiamati ad una personale riflessione sul tema della sofferenza del mondo; tutti si fanno “discepoli e manigoldi”, usando la definizione coniata da Luciano Nattino, fautore nel 2003 della rinascita del rito popolare.
Le origini antropologiche e storiche
“La Passiùn di Gesü Crist”, è un canto popolare di questua che un tempo veniva eseguito dai giovani del paese durante la Settimana Santa. Il gruppo di questuanti si spostava di casa in casa portando una semplice croce di canna e ricevendo in cambio del canto devozionale uova, vino, dolci e monete.
L’esistenza di tale canto è attestata fin dal Seicento, ma l’origine risale probabilmente al Medioevo. La versione monferrina, in uso a Castagnole e non solo, è molto simile ad una delle più antiche redazioni provenzali databile tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo.
Il Giovedì Santo avveniva la cerimonia della legatura delle campane, messe a tacere in segno di lutto fino alla Resurrezione. Il loro suono, fondamentale per scandire i tempi di lavoro in campagna, veniva sostituito con quello di rudimentali strumenti rumorosi, quali cantarane e tarabacole (crepitacoli) composti da pezzi di legno e ferro, oppure strumenti sonori ricavati da corni e conchiglie. Erano i ragazzi, i chierichetti, che avevano l’incarico di girare per le strade suonando e percuotendo questi strumenti per annunciare il mezzogiorno e l’Ave Maria. Il suono prolungato, dissonante e stridente degli strumenti “delle tenebre” rappresentava la turba degli accusatori di Cristo, venuti a rompere l’armonia tra l’uomo e il divino.
Altro elemento interessante dei giorni precedenti la Pasqua era l’esposizione in Chiesa di sagome di cartone dipinte, che rappresentavano le pie donne e i “manigoldi” (gli aguzzini, gli accusatori di Cristo) e venivano poggiate alle balaustre, intorno al corpo di Cristo deposto per l’adorazione. I fedeli, nell’andare a baciare ed adorare la figura di Cristo, potevano manifestare il loro disprezzo e rivolgere insulti ai manigoldi.
Alcune di queste sagome dipinte sono tutt’ora esistenti, ritrovate dal parroco don Giacomo Cauda negli Anni Ottanta, purtroppo in cattivo stato di conservazione.
La riscoperta della tradizione
Nel 2003 Luciano Nattino, su stimolo dell’antropologo astigiano Piercarlo Grimaldi, interpretando e condividendo il desiderio della comunità di Castagnole Monferrato di rivivificare l’antica tradizione da anni caduta in disuso, concepì un’azione teatrale che fosse non tanto spettacolo, performance (non si fa uso di effetti speciali né costumi orientali, più tipici di alcune sontuose Viae Crucis di lunga tradizione), ma piuttosto occasione di incontro comunitario, e che quindi coinvolgesse gli abitanti del paese e il pubblico in un itinerario per le vie del centro storico. Un “paesaggio sonoro del Giovedì Santo” che muovesse dagli elementi tradizionali del canto e degli strumenti rumorosi, ma aggiungesse l’innovazione apportata dalle proposte di riflessione fatte dagli ospiti interpellati.
Da allora, e con una personalizzazione tematica per ogni edizione, ci si ritrova la sera del Giovedì Santo, alla luce del primo plenilunio di primavera, in una piazza Statuto gremita di “pellegrini”. Ci si ritrova nello stesso momento in cui, duemila anni or sono, nella notte di Gerusalemme, Gesù venne catturato e da lì ebbe inizio la sua Passione. Ascoltato l’ultimo scampanio, ha inizio la scena introduttiva: il silenzio viene rotto da strepiti, schiocchi di fruste e suoni di tarabacole che annunciano l’arrivo dei manigoldi che hanno appena catturato Gesù il Nazareno. Invano le pie donne cercano di ostacolarne l’arresto. Nemmeno l’accorato lamento della Madonna riesce a fermare l’ineluttabile. Dopo questa prima scena, che viene ripetuta ogni anno, i partecipanti si avviano, sulle note del canto tradizionale (guidato in molte edizioni dal gruppo folkloristico J’Arliquato di Castiglione d’Asti), lungo un percorso a tappe, illuminato con l’ausilio di torce e fiaccole.
La processione si snoda sulla tortuosa e suggestiva miraja, l’antico camminamento sulle mura medievali, e vede l’apice della manifestazione nel Cortile dell’ex Asilo Infantile Regina Elena (dal 2018 rinominato “Cortile dei Camminatori di Domande” in memoria di Luciano Nattino). In testa alla processione, portato a spalle dagli uomini della comunità, in luogo del tradizionale crocifisso fatto di canne, è il monumentale "Cristo-albero" dall’artista tedesco Hans Jurgen Vogel, (gentilmente concesso dalla Scarampi Foundation) un corpo di Crocifisso sofferente, scolpito in un poderoso tronco d’albero di tre metri di forte impatto evocativo.
Nel corso delle edizioni sono stati proposti per le varie tappe del percorso: letture di testi dello stesso Nattino o di altri autori, eseguite dagli abitanti o da attori; scene teatrali a cura di gruppi o singoli artisti; proposte musicali di corali e cantanti, con repertorio popolare, sacro o laico; allestimenti artistici a cura di artisti visivi e scenografi (ricordiamo le Macchine Intonarumori di Antonio Catalano, le sculture dei Manigoldi dello scenografo Francesco Fassone…); meditazioni sul tema della Passione e delle tante passioni contemporanee che affliggono l’umanità condotte da personaggi del mondo della cultura e della fede (sempre presente il saluto e un pensiero del Vescovo di Asti).
L’ enorme lenzuolo portato dalle donne e deposto sulla scalinata della Chiesa, accoglie la deposizione finale del "Cristo-albero", è una citazione della Sacra Sindone, altro elemento ricorrente in molte rappresentazioni della pietà popolare, ed è simbolo di tutti i lenzuoli che oggi ricoprono i corpi martoriati da violenze e crimini.
Le drammaturgie e i testi scritti da Nattino negli anni per questo rito comunitario, per “ricordare le sofferenze di un uomo morto per tutti noi e riflettere sul valore contemporaneo del messaggio di Jesus”, costituiscono un patrimonio letterario autonomo, ai quali si aggiungono selezioni di testi di altri. In generale i fatti narrati sono attestati dai Vangeli, anche quelli apocrifi, ma il trattamento drammaturgico è personale dell’autore, con concessioni all'immaginazione.
Essi sono stati riuniti successivamente in un’opera a sé stante: “Il legno verde” (2011), portata in scena da dieci attori in forma di oratorio. Il primo nucleo era il testo di uno spettacolo dal titolo “Passione: le diciotto ore” (2006) realizzato da Casa degli alfieri, Faber Teater e Residenza Multidisciplinare Dal Monferrato al Po.
Dopo la scomparsa di Luciano Nattino la direzione artistica della Passiùn è stata prontamente raccolta da Antonio Catalano della Casa degli alfieri, compagno d’arte di una vita intera, coadiuvato da Massimo Barbero e Patrizia Camatel. Si rinnova così quello che è il destino migliore per le tradizioni: essere tramandate, passate di mano in mano come un prezioso testimone, prezioso poiché parte della memoria collettiva di una comunità, che è in continuo divenire, non dimentica della propria identità storica.
Curiosità
I Manigoldi La parola manigoldo deriva dal longobardo ed indica “uomo con la corda in mano”, ovvero il boia, e per traslato la parola è entrata nel dialetto ad indicare una persona di dubbia moralità. L’espressione t’zij andà a tiré ai manigoldi (= sei andato a tirare ai manigoldi) deriva dal fatto che prima dell’introduzione delle sagome di cartone, i manigoldi erano interpretati da uomini in carne ed ossa “tirati” a sorte per questo ingrato compito, che venivano dileggiati e ingiuriati (ben oltre il periodo liturgico) dai paesani, ricevendo in risarcimento una piccola paga.
Le Tarabacole. Note anche con altri termini, variabili di zona in zona: ciapilorie, ciapülau, taravele, sono costituite da tavolette di legno su cui sono applicati batacchi di ferro. Questi strumenti rumorosi che sostituiscono il suono di campane e campanelli liturgici sono anche denominate nel Basso Monferrato t-nebre, ovvero “tenebre”. Poiché i giorni che precedono la Pasqua, con la cattura e morte del Cristo, simboleggiano un tempo di tenebra esistenziale, alla mercé delle forze del male.
Foto di Maurizio Agostinetto